Il gusto, la chiave per il successo degli alimenti plant-based, secondo gli esperti del settore italiani
Francesca Gallelli, Policy Manager per l’Italia di GFI Europe, condivide le principali riflessioni emerse dal confronto con gli esperti del settore durante ‘Alternative’.

Diverse tematiche chiave accomunano le tante realtà che, negli ultimi anni, sono entrate a far parte del settore delle alternative vegetali ai prodotti animali, un mercato che in Italia è cresciuto del 16% in due anni, secondo i dati Circana analizzati dal Good Food Institute Europe. Quanto incide il gusto nel successo di un alimento plant-based? In che modo soluzioni innovative come la fermentazione di precisione possono migliorare la funzionalità e la scalabilità dei processi? Qual è il ruolo dei governi nel sostenere l’innovazione in questo settore? E cosa riserva il futuro, con un numero crescente di consumatori attenti alla salute?
Queste e molte altre domande sono state al centro della tavola rotonda “Dalla Ricerca al Mercato: Opportunità e Sfide Industriali”, moderata da GFI Europe, nell’ambito di Alternative, l’evento organizzato a febbraio da Italbiotec e Biotopics presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Un momento di confronto prezioso per analizzare le prospettive e le sfide del mondo plant-based che come viene ricordato nell’articolo dedicato all’evento sul Sole24Ore in Italia continua a crescere, stimolato soprattutto dalla ricerca che si sta svolgendo nelle università: l’Italia detiene infatti il primato europeo per numero di ricercatori che si occupano di proteine alternative, secondo l’ultima analisi di GFI Europe.
Dal boom delle startup alla sfida su gusto e parità di prezzo
Sharon Cittone, CEO e fondatrice di Edible Planet Ventures, apre il dibattito ripercorrendo le origini di quella che viene considerata la “nuova generazione” della carne plant-based, esplosa tra il 2015 e il 2022. Un’ondata guidata inizialmente da startup pioniere con una forte missione etica e sostenibile, che ha poi attirato l’attenzione di grandi aziende e venture capital. Tuttavia, nel 2022, il settore ha iniziato a vacillare di fronte a ostacoli come la carenza di infrastrutture per scalare la produzione, tassi d’interesse sfavorevoli e ostacoli regolatori, come le battaglie sul meat sounding, specialmente in Europa. Ma secondo Sharon, parte della responsabilità ricade anche sul settore stesso, che si è spesso posizionato in contrapposizione ai prodotti di origine animale, un approccio che ha favorito la polarizzazione anzichè il dialogo.
Alcune aziende, però, hanno saputo imparare dagli errori di questa fase iniziale e adottare strategie più efficaci. È il caso di Planted, startup nata nel 2019 come spin-off del Politecnico di Zurigo, con un team di appena quattro dottorandi e che oggi conta 280 dipendenti (di cui oltre 60 in R&D) ed è presente in sette paesi. Massimiliano Nogheredo, Sales Manager per l’Italia, racconta come il successo di Planted sia stato determinato dall’intuizione di puntare su un’etichetta clean label, mettendo sempre il gusto al primo posto e mantenendo la sostenibilità come pilastro. Creare il prodotto vegetale ‘con l’etichetta più corta del mondo’ era infatti il loro obiettivo, traguardo raggiunto con una ricetta di soli quattro ingredienti, che ha conquistato rapidamente i ristoranti locali e favorito la crescita su larga scala. “A fare la differenza – spiega Massimiliano – sono stati diversi fattori: un’etichetta semplice e pulita, l’attenzione degli svizzeri per l’ambiente e l’orgoglio per un prodotto locale. Ma il punto chiave è sempre stato il gusto”.

Anche Marco Santagiuliana, R&D Manager e Lead Scientist di The Vegetarian Butcher – startup nata con la missione di creare un’alternativa per gli amanti della carne – sottolinea l’importanza del sapore, affiancato da salute e sostenibilità come driver fondamentali. Il focus nutrizionale sta però guadagnando sempre più spazio, con crescente attenzione alla fortificazione e ai micronutrienti, in linea con l’evoluzione della domanda dei consumatori. In quest’ottica, The Vegetarian Butcher ha avviato una collaborazione con Every, azienda americana specializzata nella produzione di proteine dell’uovo tramite fermentazione di precisione, da utilizzare al posto della metilcellulosa. “È un approccio promettente ma non privo di sfide – spiega Marco – sia per le barriere regolatorie in alcuni mercati, sia perché si tratta di un ingrediente nuovo che il consumatore deve conoscere e accettare. Senza contare le limitazioni per chi ha allergie”.
Sergio Andreutti, Project Manager di Pre-Fer Bio, società specializzata in servizi di ingegneria e consulenza per processi industriali biotecnologici, entra nel merito della fermentazione di precisione, una tecnologia che negli ultimi decenni ha trovato nuove applicazioni nel settore alimentare, con l’obiettivo di produrre proteine in modo efficiente, garantendo stabilità di approvvigionamento e prezzi. “Per una startup, gestire l’intero processo fino al prodotto finale è complesso. Il modello vincente oggi è quello di aziende che producono proteine tramite fermentazione e stringono partnership con realtà più grandi per accelerare l’ingresso sul mercato”, spiega Sergio. La sfida principale? Raggiungere la parità di prezzo. “Le aziende non pagheranno di più per un ingrediente solo per ragioni etiche o per un mercato di nicchia. Alcune proteine, come leghemoglobina, lattoglobuline, ovoalbumina e lattoferrina, stanno avvicinandosi alla parità di prezzo. Per quelle del latte, invece, ci vorrà ancora tempo”.
A portare la prospettiva della grande distribuzione è Natasha Linhart, CEO di Atlante Srl, una delle prime aziende italiane di importazione e distribuzione a credere nel potenziale del plant-based. Natasha racconta come, oltre 30 anni fa, si sia battuta per portare nella grande distribuzione il latte vegetale, allora venduto solo in farmacia a prezzi proibitivi. “Mio figlio era allergico al latte animale, così ho fatto della parità di prezzo una missione, anche attraverso campagne per ridurre l’IVA”. Guardando al presente, Natasha riflette sulle tendenze attuali e sulla percezione dei consumatori, o meglio fruitori, come preferisce chiamarli per sottolineare il legame personale con il cibo. “Molti temono i prodotti trasformati, ma non tutti i processi industriali sono uguali. Alcuni garantiscono etichette nutrizionalmente valide, mentre altri – come i prefritti – non sono ideali per la salute. Il plant-based deve uscire dal ‘modello fast food’, offrendo prodotti versatili che possano stimolare la creatività in cucina, anche per non sopprimere il legame emozionale con il cibo”.
La strada da seguire: innovazione, sinergia e inclusività
Cosa riserva il futuro al mondo plant-based? Secondo Sharon Cittone, le parole chiave sono sinergia – tra il mondo della ricerca e quello dell’industria – e inclusività nei confronti del settore agricolo, per rimettere al centro chi da sempre si occupa di produrre cibo. “Il supporto dei governi è fondamentale, sia per gli agricoltori che per aiutare le aziende a raggiungere la produzione su scala”, sottolinea.
Sergio Andreutti aggiunge che la fermentazione parte già da un vantaggio in termini di sostenibilità, grazie a minori emissioni e a un ridotto utilizzo di suolo e acqua, offrendo al contempo interessanti opportunità per il mondo agricolo. “I microorganismi non sono schizzinosi: possono essere nutriti con sottoprodotti agricoli anziché con zuccheri o materie prime create ad hoc, promuovendo così l’economia circolare. L’Italia ha una forza eccezionale nella filiera produttiva e, nonostante le resistenze culturali, grazie al suo know-how potrebbe ampliare la propria offerta diversificando anche tramite impianti di produzione già esistenti e da riqualificare”.

Marco Santagiuliana sottolinea l’importanza di investire in ricerca e sviluppo, non solo per superare le sfide legate alla consistenza dei prodotti vegetali, ma anche per esplorare nuove fonti proteiche come la fava e le proteine di piselli, evitando di dipendere esclusivamente dalla soia.
Il futuro del nostro sistema alimentare non può che contemplare diversificazione e innovazione, e le proteine alternative possono essere un tassello chiave e complementare per costruire sistemi alimentari più sostenibili, sicuri e accessibili. Per farlo, è fondamentale unire forze e competenze: dalla ricerca all’industria, dalle istituzioni al settore agricolo, il dialogo e la collaborazione saranno essenziali per trasformare il potenziale di queste soluzioni in un impatto concreto, a beneficio della società e del pianeta. proteine alternative – ma i suoi straordinari successi meritano di essere celebrati a gran voce.