I responsabili politici dell’UE riaprono il dibattito sul meat sounding per i prodotti vegetali
A Bruxelles tornano alla ribalta piani abbandonati cinque anni fa, con una serie di proposte confusionarie che puntano a vietare l’uso di termini di uso comune per descrivere la carne vegetale.
29 Settembre 2025

Due diversi pacchetti di restrizioni, attualmente in discussione sia al Parlamento europeo che alla Commissione europea, vieterebbero alle aziende di tutti i 27 Stati membri l’uso di termini come “carne”, “tipo pollo”, “burger” o “salsiccia” – utilizzati da decenni per l’etichettatura dei prodotti vegetali.
Mentre valutano queste proposte, i decisori politici sono chiamati a trovare un equilibrio tra la necessità di garantire chiarezza per i consumatori e quella di non ostacolare l’innovazione di un settore in piena espansione.
Cosa sta succedendo a Bruxelles?
Il Parlamento europeo aveva già discusso misure simili nel 2020, ma gli eurodeputati respinsero alla fine il cosiddetto “Veggie Burger Ban”, dopo che il tema aveva attirato grande attenzione da parte della stampa internazionale.
Oggi, due nuove proposte che mirano a vietare termini ampiamente compresi dai consumatori sono tornate sul tavolo.
La Commissione ha presentato a luglio 2025 un pacchetto di modifiche nell’ambito della revisione periodica dell’Organizzazione Comune di Mercato (OCM), parte della riforma della Politica Agricola Comune (PAC) che si rinnova ogni sette anni. Se approvata, la misura – che entrerebbe in vigore probabilmente nel 2028 – vieterebbe l’uso di 29 nomi per prodotti a base vegetale, tra cui “pollo”, “bacon”, “petto”, “ala” e “coscia”.
Parallelamente, nella primavera del 2025, l’eurodeputata francese Céline Imart ha proposto alla Commissione Agricoltura del Parlamento europeo un emendamento come revisione mirata dell’OCM, con l’obiettivo di rafforzare le regole a tutela degli allevatori. Le sue proposte, approvate in commissione a inizio settembre, sono ancora più restrittive.
Il piano di Imart mira infatti a vietare qualsiasi termine legato a specie animali, tagli di carne o persino forme associate ai prodotti convenzionali, una misura simile a quella adottata dall’Italia nel 2023 (che rimane ad oggi inattuata e potenzialmente inapplicabile a causa della violazione della procedura TRIS). Sarebbero quindi vietati per i prodotti vegetali termini come “bistecca”, “scaloppina” o “hamburger”. Inoltre, verrebbero vietati anche i nomi evocativi della carne per la carne coltivata, non ancora commercializzata in Europa.
Questa proposta passerà ora al voto in plenaria a ottobre, dopodiché Commissione, Parlamento e Consiglio avvieranno negoziati informali per arrivare a un testo finale comune.
Una situazione confusa
Nel frattempo, la proposta originale della Commissione rimane formalmente sul tavolo e verrà discussa come parte della riforma della PAC nel corso del 2026 e 2027.
Anche per chi conosce bene la politica europea, la situazione appare complicata: ci sono due processi diversi con regole differenti, che propongono cambiamenti simili sullo stesso tema. Non è ancora chiaro cosa accadrebbe alla proposta della Commissione se venisse approvata la revisione “mirata” della commissione Agricoltura – e viceversa.
Ma una cosa è certa: entrambe le proposte sono inutili e rischiano di danneggiare sia i consumatori che l’economia dell’UE. Con sfide enormi come la crisi climatica e l’instabilità del commercio globale, è assurdo che i legislatori europei dedichino così tanta attenzione a un tema del genere.
Un linguaggio familiare aiuta i consumatori
La Commissione sostiene che le restrizioni servano ad aumentare la trasparenza per i consumatori, proteggere il valore culturale della carne convenzionale e chiarire le differenze nutrizionali.
Ma i sondaggi dimostrano che la grande maggioranza degli europei, compresi i consumatori italiani, sostiene l’uso del meat sounding per i prodotti vegetali. Un linguaggio familiare aiuta infatti i consumatori a capire cosa aspettarsi in termini di gusto, consistenza e modalità di cottura. Vietare termini di uso comune significherebbe solo allontanarsi dalla realtà quotidiana dei consumatori.
Un danno all’industria europea
L’UE si è impegnata a ridurre la burocrazia per le imprese, ma introdurre nuove restrizioni comporterebbe costi significativi per il settore in crescita dei prodotti vegetali. Le aziende dovrebbero buttare via imballaggi esistenti, creare nuove etichette e affrontare barriere che potrebbero scoraggiare l’ingresso di operatori internazionali nel mercato europeo.
Eppure il settore plant-based è uno dei più innovativi e dinamici dell’industria alimentare europea, con vendite in forte crescita in Francia, Germania, Italia e Spagna. Offre anche opportunità concrete agli agricoltori, che possono aumentare la produzione di legumi e altre colture locali utilizzate come materie prime.
Sempre più studi dimostrano inoltre che le alternative vegetali alla carne offrono benefici per la salute e rappresentano un modo semplice e gustoso per ridurre l’eccessivo consumo di carne trasformata.
Invece di sprecare tempo su restrizioni che non tutelano i consumatori, i responsabili politici dovrebbero sostenere un sistema alimentare più sano e sostenibile, creando condizioni eque per lo sviluppo del settore plant-based in Europa.