Il divieto italiano di meat-sounding per le alternative vegetali alla carne

Una restrizione inattuata, inapplicabile, che penalizza aziende e consumatori.

pezzi di pollo in un'insalata sana
Foto da: Vegfather
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Position paper

L’articolo 3 della legge 172/2023 del 1° dicembre 2023, c.d. Legge sulla carne coltivata, introduce il <<Divieto della denominazione di carne per i prodotti trasformati contenenti proteine vegetali>>, conosciuto anche come divieto di meat-sounding per le carni vegetali. In attesa dei decreti con cui il Ministero dell’Agricoltura adotterà l’elenco delle denominazioni vietate, la norma resta ad oggi inattuata. Inoltre, in seguito alla violazione di un obbligo procedurale relativo alla direttiva TRIS dell’Unione Europea, la legge risulta viziata e laddove attuata potrebbe essere dichiarata inapplicabile da un tribunale nazionale, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 

Durante il mese di gennaio 2024, il Good Food Institute Europe ha raccolto le opinioni delle aziende di settore, dai grandi produttori alle start-up. I risultati dimostrano che sono molteplici le penalizzazioni che il divieto di meat-sounding comporta sia per l’attività di impresa sia per i consumatori. Il comparto italiano degli alimenti a base vegetale ha un valore stimato di 680,9 milioni €.

Alla luce delle criticità già rilevate dalle aziende del settore, il Ministro dell’Agricoltura ha dichiarato che laddove ci fosse un problema con l’articolo 3, il dicastero sarebbe aperto a rivalutare. Considerati tali punti, ulteriormente discussi nel position paper del Good Food Institute Europe, la rivalutazione del Governo e l’abrogazione del divieto di meat-sounding si rendono quantomai necessarie e urgenti, in particolare per le seguenti ragioni: 

  • Anche nella loro fase di mancata attuazione, le restrizioni stanno comunque penalizzando le aziende, soprattutto laddove queste si confrontano con le scelte di marketing relative al lancio  di un nuovo prodotto, ovvero laddove si tratti di start-up che si preparano ad entrare sul mercato. 
  • Qualora attuati, i divieti restano viziati e le aziende verrebbero costrette ad incorrere negli ingenti costi di re-branding e di smaltimento delle vecchie etichette, per adeguarsi ad una normativa che si sa essere esposta al rischio di una dichiarazione di inapplicabilità da parte dei tribunali. 

Le restrizioni penalizzano le imprese, sulle quali, ad esempio, ricadranno ingenti costi di re-branding e smaltimento delle vecchie etichette, e i consumatori, ai quali viene tolta la possibilità di compiere delle scelte guidate dal concetto di familiarità. Al contempo il divieto di meat-sounding non risulta funzionale alla tutela del patrimonio zootecnico nazionale, già ampiamente tutelato dai numerosi disciplinari di produzione, ovvero dallo specifico elenco ministeriale che individua i cc. dd. PAT.

Il questionario del Good Food Institute Europe per le aziende di carne vegetale

A gennaio 2024 abbiamo avviato un questionario, con cui stiamo raccogliendo le opinioni delle aziende di carne vegetale attive sul mercato italiano relativamente all’utilizzo dei termini meat-sounding, ovvero al loro divieto in Italia.

Finora, le aziende hanno confermato l’assenza di confusione tra i consumatori derivante dalla disciplina attuale, rilevando piuttosto le penalizzazioni per imprese e consumatori che deriverebbero dall’attuazione del divieto di meat-sounding per le carni vegetali. 

I primi risultati

  • Tutte le aziende che hanno partecipato impiegano per i loro prodotti termini comunemente usati nel settore della carne animale, tra questi Veg prosciutto, cotoletta, straccetti, trancio, oppure viene inserito in etichetta il gusto cui rimanda il prodotto specificando che si tratta di un prodotto vegetale (es. Affettato vegetale gusto salame). Alcune aziende utilizzano anche nomi legati a tradizioni culinarie di altri Paesi, come ad esempio <<kebab>>.  
  • In tutti i casi, grazie ai vari claim (es. 100% vegetale, vegano, veg) e alle ulteriori informazioni inserite in etichetta, il consumatore è pienamente informato rispetto alla composizione vegetale del prodotto. Questo dato è confermato dalle indagini sui consumatori condotte dalle aziende stesse, dalle quali emerge la perfetta consapevolezza dell’acquisto, ossia la totale assenza di segnalazioni sulla possibile natura equivoca o fuorviante dei termini meat-sounding. 
  • Dall’altro lato le aziende rilevano come l’utilizzo di questa terminologia sia di grande supporto al consumatore. Il concetto chiave è quello di familiarità. La terminologia meat-sounding supporta il consumatore nel comprendere – in fase di acquisto, di preparazione e prima del consumo – le performance attese del prodotto e la sua declinazione d’uso. Riportare in etichetta le terminologie di formato e di riferimento alla proteina animale, di cui il prodotto in questione vuole rappresentare l’alternativa vegetale, permettono al consumatore di comprendere come tale prodotto possa essere utilizzato in cucina, ovvero contestualizzato nella propria lista della spesa.
  • Il branding è un’operazione costosa e complessa. Le aziende, dipende dalla dimensione del loro mercato, hanno calcolato che l’identificazione di nuovi nomi costerà decine di migliaia di euro, ovvero una perdita di capitale, che sarebbe stato impiegato diversamente per la crescita aziendale. L’operazione di re-branding sarà infatti complessa. Tra gli altri, riguarderà anche un nuovo sviluppo grafico e una significativa perdita di denaro per l’eventuale smaltimento dei vecchi packaging, con il negativo impatto ambientale che ne deriva. Relativamente all’identificazione di nomi che evitino ogni riferimento meat-sounding, una difficoltà aggiuntiva è stata segnalata per il lancio di nuovi prodotti, ovvero dalle start-up.
plant-based ham and salamy from Vegfather on a healthy sharing board

Un sincero grazie alle aziende che hanno risposto al nostro questionario!

Se sei un’azienda attiva sul mercato italiano e desideri contribuire a questo progetto, puoi ancora farlo.